Non è facile trovare dei ragazzi anglosassoni a Cleveland o Topeka che abbiano una voglia insaziabile di pollo tandoori o di gamberetti in salsa vindaloo. Eppure i bambini che hanno praticamente lo stesso DNA mangiano queste cose ogni giorno a Mumbai. Chiaramente non si tratta di genetica.
Forse lì le famiglie affrontano il problema del cibo nello stesso modo in cui le scuole insegnano un nuovo argomento. Per prima cosa ai bambini viene insegnata la storia del cibo indiano, poi gli viene detto di memorizzare un numero di ricette e successivamente ci sono le verifiche. Ad un certo punto, la pedagogia conduce ad un amore per il cibo.
Naturalmente no.
Le persone in giro per il mondo mangiano quello che mangiano in base alla qualità dei servizi nella loro comunità e al modo in cui la cultura è inculcata in quello che fanno. Le aspettative contano un bel po’. Quando non hai alcuna scelta se non quella di crescere facendo qualcosa o mangiando qualcosa o cantando qualcosa, allora la fai.
Se la cultura è sufficiente a stabilire cosa mangiamo e come parliamo e decine di migliaia di altre norme sociali, perché non è capace di insegnarci a stabilire degli obiettivi, la passione, la curiosità e l’abilità di persuadere?
La cultura potrebbe farlo.